Dalla Korea con furore pop

All’inizio è stato un vento forte che ha travolto la Corea del Sud; si è poi trasformato in un tifone che ha coinvolto tutto l’Oriente; infine è diventato uno tsunami che ha raggiunto l’Europa e gli Stati Uniti. Stiamo parlando del K-pop. Un fenomeno musicale clamoroso, che ha messo a soqquadro le classifiche globali e lanciato giovanissimi artisti con gli occhi a mandorla, impegnati a incidere canzoni dal sapore pop corrette con varie spezie: dance, hip hop, electronic music, rhythm and blues, rock. Una formula vincente, capace di incidere sul bilancio economico dell’intero Paese grazie al volume di vendite complessivo tra dischi, merchandising, interazioni sui social.

A macchia d’olio

A piantare per primi il seme del K-pop in Corea del Sud sono stati Seo Taiji and Boys agli inizi degli anni ’90. Il terzetto inserisce come elemento di novità sonorità ispirate alla musica occidentale e soprattutto il rap.

Nel corso degli anni, il K-pop si estende prima in patria, per poi dilagare nei vicini Stati orientali. Complice è la potente rete che crea un vero e proprio “movimento” alimentato da legioni di fan adoranti, i cosiddetti fandom.

Nel 2012 il rapper e produttore Psy lancia Gangnam Style e il brano sbanca le classifiche mondiali e si incomincia così a parlare di K-pop anche nei Paesi occidentali, ma bisogna attendere ancora cinque anni per assistere al completo boom. A decretarlo sono i BTS, boy band che frantuma il muro statunitense e europeo, macinando record di vendite. Sono loro ad aprire la breccia da cui passeranno altri giovani artisti o, come vengono ribattezzati, idol, “idoli” appunto del genere nato all’ombra dei grattacieli di Seul.

 

Una fabbrica perfetta

Dietro a questo straripante fenomeno non c’è nulla lasciato al caso. A creare gli idol, infatti, ci sono delle potentissime agenzie musicali sudcoreane che hanno il compito di scovare e preparare le future star attraverso una severa selezione. Una volta entrati nella ristretta cerchia dei “fortunati”, questi giovani vengono sottoposti a un duro tirocinio dove imparano varie discipline con allenamenti continui in “materie” quali il canto, la danza, l’hip hop, ma anche lo studio di lingue straniere o lezioni di “buone maniere”. Chi sbaglia, viene escluso senza appello.

Il K-pop, dunque, è diventato una specie di catena di montaggio, che rimpiazza, una volta raggiunti i limiti di età, gli idol non più appetibili per il pubblico. Un meccanismo che sembra abbia dato ottimi frutti, aiutato dalla capacità di sfruttare al massimo i social e i fandom.

Gli idol sono stati bravi a supportare le loro canzoni con narrazioni visive coinvolgenti puntando sulla bellezza, il look, la gestualità, le interpretazioni melodrammatiche e coreografie dal forte impatto. Il resto lo hanno fatto i fan che, attraverso il web, interagiscono con le star ma anche tra loro stessi, andando così a formare una vasta comunità attiva in varie iniziative, anche raccolte fondi per beneficenza.

I superidol

Nella sterminata galassia del K-pop, si trovano delle stelle che brillano più delle altre. Tra esse, ci sono i BTS, in azione dal 2013, che nel loro Paese detengono il record dei dischi venduti. Una popolarità che si spiega non solo con la bravura dei sette ragazzi, ma dai messaggi che veicolano toccando temi come ansie e problematiche giovanili, e una certa critica alla società sudcoreana, tendenzialmente conservatrice.

Intanto, la boy band è diventata meno… boy. Il tempo passa e i componenti hanno dovuto fare il militare, obbligatorio nel loro Paese, e avviato carriere da solista, consapevoli che forse il gruppo potrebbe essere alle battute finali. In ogni caso prossimamente è previsto il ritorno sulle scene.

Alle loro spalle, scalpitano altre band, tra le quali quella degli Stray Kids, otto ragazzi ovviamente preparati con il collaudato “metodo” sudcoreano, che già mietono ampi consensi. Lo hanno dimostrato quest’anno con il loro tour mondiale, che è giunto lo scorso luglio anche a Roma: oltre 50.000 fan allo stadio.

Un’altra band che macina cifre vertiginose è quella delle Blackpink. Formate da quattro cantanti-rapper, Jisoo, Jennie, Rosé e Lisa, hanno debuttato nel 2016 e oggi sono il gruppo più ascoltato nella storia di Spotify e YouTube.

I loro brani parlano di indipendenza, emancipazione femminile, problemi di cuore. Il quartetto è un perfetto esempio di unione tra musica ed estetica, dove ognuna di loro rappresenta un “personaggio”, un’identità artistica ben precisa. Non a caso, le ragazze hanno avviato anche brillanti carriere da solista.

Il k-pop si conferma quindi sempre più un mix micidiale, che attira le ragazze e i ragazzi semplicemente perché nel K-pop essi ritrovano il loro vissuto fatto di emozioni, pensieri, passioni, sofferenze, sogni.

Claudio Facchetti

 

 

Tra le tante abbiamo scelto la testimonianza di Eva che ci ha scritto perché le piace il K-pop…

“Da quando ho iniziato ad ascoltare gli Stray Kids ho capito che loro non erano solo un gruppo k-pop, ma la mia scintilla. Grazie a loro sapevo che non ero più sola e che ci sarebbero sempre stati. Anche se non sanno nemmeno della mia esistenza occupano una gran parte di me e mi hanno insegnato qualcosa di unico. Ognuno di loro mi ha lasciato un segno inciso nell’anima che non dimenticherò mai e che terrò per sempre con me. Tutte le volte che vivevo un momento difficile loro erano lì, a consolarmi; le loro canzoni erano la mia coperta calda che mi accoglieva. Solo al pensiero che prima o poi gli Stray Kids si scioglieranno, sento il vuoto dentro di me che rimbomba. Non è facile spiegare le emozioni che mi fanno provare, ma loro sono la mia casa, mi hanno salvato, e probabilmente potranno salvare anche te.”

Eva

Subscribe
Notificami
0 Commenti
Newest
Oldest Most Voted
Inline Feedbacks
View all comments