Ermal Meta – Siamo una grande tribù colorata

Autore, produttore, polistrumentista e cantante, Ermal Meta è una delle penne più apprezzate del panorama musicale italiano e una delle voci più riconoscibili. Di passo in passo ha costruito una carriera di successo: tra le tappe più significative del suo percorso c’è la vittoria al Festival di Sanremo in coppia con Fabrizio Moro con Non mi avete fatto niente e la terza posizione all’ultima edizione della kermesse con Un milione di cose da dirti. Ermal aveva già partecipato a Sanremo con Vietato morire e, prima ancora, ci era stato con i gruppi Ameba 4 e La fame di Camilla. Insomma, Ermal al Festival ha sempre fatto bene pur presentando brani diversi nelle sonorità e per tematiche. Nel caso di Un milione di cose da dirti ha cantato l’amore, dopo due brani impegnativi e impegnati. Da sempre Ermal Meta è molto sensibile alle tematiche sociali, ma sa scrivere e interpretare anche «Una semplice canzone d’amore», così ha definito Un milione di cose da dirti, perché «A volte non è necessario lanciare messaggi particolari ma far solo emozionare chi ascolta».

Tribù urbana è il suo nuovo album, pop, con suoni di sapore internazionale alternati a gocce di cantautorato, un disco in cui «In alcuni brani ho preso direzioni diverse, cambiando genere perché la musica è bella tutta: ovunque ti giri trovi sicuramente qualcosa da apprezzare». In questo album si parla d’amore ma ci sono anche i temi cari a Ermal Meta, cioè l’uguaglianza e i diritti (in passato aveva cantato testi contro la violenza). Ad esempio, c’è una canzone per lui estremamente importante: si intitola Gli invisibili. L’ispirazione è venuta durante una vacanza negli Stati Uniti, «Dove ho fatto un viaggio che mi ha portato a incontrare diversi homeless, persone che vivono per strada. Mi sono fermato a parlare con uno di loro, che mi ha raccontato la sua vita. Il giorno del nostro incontro cadeva il suo compleanno. Sono rimasto colpito dalla bellezza della sua storia, una storia che nessuno avrebbe mai raccontato perché lui, appunto, appartiene agli invisibili. Tutti noi, almeno una volta nella vita, facciamo parte di questa categoria. A me è successo per anni di sentirmi invisibile, condizione che mi ha spinto a intraprendere la carriera musicale da solista dopo l’esperienza nei gruppi e dopo essere stato autore per tanti interpreti. Scrivevo per loro, ma non veniva chiesto a me come fossero nate quelle canzoni, perché giustamente diventano dell’interprete nel momento in cui le canta: le domande venivano poste a lui o a lei, però io di questo soffrivo». Da qui l’importanza per Ermal Meta di cantare gli invisibili, su cui aggiunge un’ulteriore riflessione: è invisibile anche chi aiuta gli altri nel silenzio, riuscendo magari a cambiare del tutto una vita, perché «Come mi ha detto una persona, gli invisibili a un certo punto imparano a volare e salvano il mondo con un gesto di gentilezza». Un’immagine poetica, descritta con il tipico stile di Ermal, e molto vera.

 

Voglia di libertà

Per quanto riguarda il significato del titolo Tribù urbana, lo spunto parte da lontano: «Da sempre gli uomini hanno vissuto in gruppi, tribù, villaggi e città. Dalle case in paglia e fango siamo passati al cemento, ma il fil rouge che collega le persone è sempre l’anima. Le nostre città hanno sempre più colori, differenze, dualità che si uniscono e creano una terza realtà. La tribù urbana fisicamente non esiste, eppure c’è». Siamo noi, quindi. «Questo è un disco strano per me», conclude Ermal, «Perché ho lavorato con la voglia di libertà e di correre quando la libertà mancava. Racconta tante storie come fossero fotografie». Tra l’altro, in un momento in cui i duetti piovono in ogni disco, Ermal nel suo non ne ha voluti perché «Quando c’è qualche featuring deve nascere in maniera spontanea, di solito con colleghi che sono anche amici con cui si fa qualcosa per puro gusto artistico».

Ermal Meta è anche un animale da palco, cattura il suo pubblico con una grande energia e una totale verità interpretativa: nessun filtro, nessuna finzione. Lui rende concreta la famosa magia della sincerità che fa vivi i concerti, su cui è calata la durezza della realtà pandemica: «Il covid ha cambiato il volto del nostro mondo e noi ne usciremo cambiati. Io, con questo album, mi sono messo in platea e non sul palco: le persone ai concerti vengono per cantare, soprattutto, quindi mi sono messo nei loro panni e ho scritto canzoni che a tratti si possano cantare a squarciagola. Non vedo l’ora che accada».

Infine, chiudiamo la chiacchierata con un sorriso, parlando del brano Vita da fenomeni: «Fenomeno non lo sono più, giocavo a calcio come ala destra e gli avversari facevano fatica a prendermi, adesso ho il fiatone a salire al terzo piano di un palazzo, sono una mezza cartuccia», ride Ermal. «Potrei forse essere un mediano, per rubare il concetto a un mio collega».

Francesca Binfarè

Foto Emilio Tini

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